Streetwear, ma spiegato bene - Episodio #19
una piccola e appassionata idea di Federico Zamboni
A tre settimane di distanza, torniamo con questo piccolo angolo di totale serenità — e inutilità — in cui commentare i piccoli e i grandi temi del mondo delle sneakers, dello streetwear e della moda in generale. Qui è Fede che vi parla :)
Sinceramente, senza girarci troppo attorno, questa volta ho fatto molta fatica a trovare qualcosa che mi piacesse trattare. Non tanto perché ci sia poco di cui parlare — chi dice così, e magari lavora nel mondo della moda, o non ha capito nulla o sta cercando di fottervi — quanto più perché un piccolo blocco dello scrittore, ogni tanto, è propedeutico per continuare a mantenere sempre alto il livello.
In ogni caso, ecco gli argomenti di oggi:
in primis, faremo un piccolo excursus nel mondo del design e dei talenti emergenti, parlando di DingYun Zhang e del suo straordinario vulcanismo creativo
in secundis, torneremo in parte sul pianeta Sneakergame e cercheremo di capire perché Off-White ha perso quasi tutta la sua influenza nel mondo della moda
Partiamo!
DingYun Zhang è un vulcano sottomarino (non letteralmente)
Colta la vostra attenzione con questo titolo-capolavoro, posso subito chiarirvi che no, DingYun Zhang non è una formazione geologica, ma uno dei designer più talentuosi e creativi dell’ultimo quinquennio.
Pur essendo nato nella Mongolia Interna, una provincia della Cina Settentrionale, DingYun passa la sua infanzia e una parte della sua adolescenza nella cosmopolita Pechino. A 16 anni, poi, arriva il primo passo nel mondo del design: i suoi genitori, infatti, lo lasciano trasferirsi nel Somerset, dove studia Belle Arti. La scelta successiva è una naturale conseguenza del suo percorso nel Somerset: DingYun decide di andare a vivere a Londra per studiare al Central Saint Martins, scuola di moda che nel corso degli anni ha formato talenti del calibro di Phoebe Philo, Alexander McQueen e Stella McCartney.
Al secondo anno della sua esperienza inglese, un tutor della CSM decide di mettere in contatto DingYun Zhang con Kanye West. Ed è qui che il talentuoso ragazzo della Mongolia Interna capisce di aver tanto da dire — e da dare — al mondo dello streetwear.
Dopo essere volato a Calabasas, sede del team YEEZY, DingYun viene subito assunto da Kanye, che si innamora della visione straordinariamente futuristica del designer cinese. L’arte di DingYun è infatti potentissima, per quanto molto semplice, e si basa interamente sull’armonia fra i fondali marini e le creature che li abitano, in quello che si rivela essere un inno alla tridimensionalità, alla funzionalità e alla sostenibilità.
DingYun Zhang ha un linguaggio chiarissimo, pulito, cristallino: un capo non deve nascondere nulla, ma al contrario deve autoesaltarsi, splendere di luce propria, catturare l’attenzione. Tutto questo senza esagerare, senza cadere nel pacchiano, nella ricerca fine a se stessa di materiali insostenibili o rari. Non è un caso che DingYun sia riuscito ad ottenere una borsa di studio da Dazed, dedicata quasi interamente allo sviluppo di tessuti sostenibili e biodegradabili.
Se c’è un tema che, dopotutto, il designer cinese ha sempre considerato centrale all’interno della sua ricerca, quello è il tema della sostenibilità ambientale. Come ha dichiarato a Dazed:
“È importante non dimenticare che lo stile a volte nasce dalla necessità di uno stile di vita sostenibile”
Di conseguenza, all’interno della sua ricerca estetica DingYun Zhang ha sempre cercato di inserire non solo elementi altamente innovativi, ma anche materiali attenti all’ambiente, capaci, quindi, di non inquinare ulteriormente un mondo che sta sempre più subendo le conseguenze di un sistema economico insostenibile.
L’ambiente marino, ricchissimo di animali quasi fantastici e permeato da un’aura di mistero che si può paragonare solamente al suolo lunare, ha offerte, offre e continuerà ad offrire a DingYun la massima ispirazione: dopotutto, si tratta dell’ecosistema più influenzato dai cambiamenti climatici, ma allo stesso tempo di quello più misterioso, più affascinante, più ricco di diversità.
Prendiamo, ad esempio, la Spring 2022 realizzata con Moncler, che ha deciso di offrirgli una posizione all’interno del suo programma Genius. Questa collezione, pur essendo passata tutto sommato sotto ai riflettori, rappresenta al meglio la versatilità di questo straordinario talento del mondo del design: reinterpretando l’immagine iconica di un brand come Moncler, DingYun ha deciso di giocare con le forme di piumini e pantaloni, di pantaloncini da ciclismo e di simil-moonboot in pelliccia, e così facendo ci ha regalato dei capi che, nella loro complessità realizzativa, trasmettono un’idea di vicinanza alla natura marina.
Con Marni, il lavoro svolto da DingYun è stato diverso. Per la Fall/Winter 2023, il designer cinese ha deciso di optare per un’estetica meno complessa, ma ha comunque mantenuto altre due caratteristiche fondamentali del suo linguaggio creativo: la tridimensionalità volutamente esagerata e l’ispirazione alla cultura street, che si nota nel taglio croppato dei puffer e nelle loro fantasie molto, molto particolari.
A inizio 2024, il talentuoso pupillo di Kanye è finalmente riuscito a mettersi in proprio, realizzando la prima collezione completamente sua (ci aveva già provato fra il 2019 e il 2020, ma sappiamo tutti cosa è successo). A contraddistinguerla — e ormai non dovrei nemmeno dirlo — forme esagerate, capi ispirati all’estetica outdoor e tantissime citazioni a chi è venuto prima di lui.
Insomma, il mondo della moda è duro, e molti soccombono prima di arrivare al successo, ma la strada tracciata da DingYun Zhang potrebbe essere vincente. O, almeno, è quello che speriamo.
“Si stava meglio quando c’era Virgil”
Sì, si stava meglio quando si stava peggio. O forse no. Forse non ha tanto senso questa frase.
In ogni caso, che Off-White sia cambiato moltissimo è un dato di fatto, e non lo dimostrano tanto i dati economici — che, comunque, evidenziano una contrazione — quanto più i dato “empirici”: la label di Abloh si vede sempre meno, è sempre meno influente, in sempre meno la vogliono e, soprattutto, è sempre più distante da quello che era con Virgil. Ciononostante, il punto che vorrei trattare oggi non è questo, quanto più: siamo sicuri che il “problema” di Off-White non sia stato proprio il suo fondatore?
Prima di insultarmi — più o meno legittimamente — lasciate che mi spieghi. Se poi la mia spiegazione non vi convincerà o non vi piacerà, potrete scrivermi qui tutto gli insulti che volete. Liberissimi di farlo. Anzi, vi invito proprio a farlo.
In ogni caso, bisogna partire con il presupposto che Virgil Abloh è stato un’icona assoluta non solo del mondo dello streetwear, ma della moda in generale. Lui è stato uno dei primi artisti di colore ad affermarsi in maniera indipendente, attraverso la fondazione di Pyrex prima e di Off-White poi; è stato il primo direttore creativo di colore di una maison del livello di Louis Vuitton; è stato uno dei designer più trasversali della nostra epoca, mettendo le sue mani su prodotti anche completamente diversi e riuscendo sempre a trasmettere le sue idee; se poi vogliamo tornare nello sneakerworld, lui è stato uno dei pochi a poter mettere liberamente le mani su una sneaker iconica come la Jordan 1 High “Chicago”.
Insomma, come avete capito — e come in molti di voi sicuramente già sapevano — Virgil ha creato un modo completamente diverso di intendere il design. E non si tratta di una casualità: il suo percorso di studi è infatti iniziato con gli studi di architettura, e la sintesi fra questa disciplina e la sua creatività ha permesso al suo talento di affermarsi come uno dei più straordinari del 21esimo secolo.
Ma torniamo a Off-White. Fondata nel 2013 per sostituire PYREX VISION, la label milanese si afferma sin da subito come il più sincero, puro e trasparente veicolo della visione di Abloh. Attraverso i suoi capi, semplici e street, il designer di Chicago vuole provare ad offrire degli spunti creativi, un’idea diversa della realtà, “indagando quell’area fra il bianco e il nero che è stata definita Off-White”, riprendendo il claim con cui proprio Virgil ha presentato la sua label.
L’affermazione arriva fra la Fall/Winter del 2016 e quella del 2017, con tre principali prodotti: la Caravaggio Tee, l’Industrial Belt e la Mona Lisa Hoodie, tre staples di Off-White che renderanno Abloh un gigante assoluto dello streetwear. Negli stessi anni, Virgil lavora con Nike all’ormai leggendaria collezione “THE TEN”, che diventa una delle più desiderate e riuscite della storia dello Swoosh. Da questo momento, l’ascesa è senza precedenti per un creativo di colore: nel 2018 la rivista Time lo inserisce fra le cento persone più influenti al mondo, e nello stesso anno Louis Vuitton decide di nominare direttore creativo della sua linea menswear. La sua fama è all’apice, e così anche quella di Off-White, che continua la sua ascesa nel mondo dell’haute couture e dello streetwear di lusso.
Il 28 novembre del 2021, però, un’angiosarcoma cardiaco — malattia rarissima che colpisce circa 3 persone su 1 milione — stronca la vita di Virgil, che ci lascia ad appena 41 anni. La notizia è devastante e soprattutto inaspettata: il creativo di Chicago, infatti, aveva deciso di tenere segreta la sua malattia fino all’ultimo giorno. Ecco, secondo molti, quel giorno non se n’è andato soltanto Virgil, ma anche l’anima di Off-White, che non è più riuscito ad affermarsi come una label influente, rivoluzionaria e controcorrente. Al contrario, è rapidamente scivolata nel dimenticatoio, anche dopo la nomina di Ib Kamara.
Come avrete capito leggendo il riassunto che ho fatto della storia di Off-White, il linguaggio comunicativo e creativo di questo marchio è sempre coinciso con il pensiero di Abloh. Fin quando Abloh è rimasto in vita, difficilmente Off-White si è piegato a canoni estetici “altri”, o quantomeno il pubblico non lo ha quasi mai percepito. Ed è proprio in questo che sta il “problema”: se tu hai un brand che è la rappresentazione concreta dei tuoi ideali — supponendo tu ne sia il fondatore — allora il pubblico non scinderà mai questo brand dalla tua figura. Ampliando ulteriormente il discorso, nel momento in cui morirai, porterai nella tua tomba anche l’essenza stessa della tua creatura.
L’identità, infatti, è quanto di più forte ci possa essere a livello di comunicazione e marketing. Se quando Virgil era in vita Off-White comunicava delle cose, queste avevano un valore perché era Virgil a realizzarle: Off-White era un contenitore, al massimo una vetrina, ma nulla di più. Oggi, invece, Virgil non c’è più, e Off-White, non a caso, non ha la stessa forza comunicativa di prima. Non tanto perché non faccia prodotti validi — anche perché ce ne sono — quanto più perché, semplicemente, non li fa Virgil, non li rappresenta Virgil, non concretizzano alcuna idea di Virgil.
Off-White non è spersonalizzabile, come non lo è nessun altro marchio di moda al mondo. Prendiamo Maison Margiela: a parlare, per questa maison, non è mai stato Martin, il suo fondatore. A parlare sono sempre state le sue opere, le sue idee, la sua visione rivoluzionaria della moda. Di Martin si sa poco, perché volontariamente ha deciso di non mettersi al centro della scena. Il risultato? Maison Margiela, a più di un decennio dall’addio di Martin, è una delle case di moda più influenti e ammirate al mondo. Off-White, a poco più di due anni dalla morte di Virgil, conta invece relativamente poco.
Sicuramente è una spiegazione semplicistica e che non tiene — volontariamente — conto di una miriade di fattori diversi, ma la questione Off-White rimane, e per questo giro la palla anche a voi: la label di Virgil riuscirà davvero a sopravvivere al suo fondatore?