Streetwear, ma spiegato bene - Episodio #18
una piccola e appassionata idea di Federico Zamboni
Amiche e amici dello streetwear, rieccoci qua per il 18esimo episodio di “Streetwear, ma spiegato bene”, la newsletter di cui non avete bisogno ma che comunque vi mando con tanto amore ogni due sabati :)
In ogni caso, oggi si parla di due cosette strepitose:
la collabo fra Supreme e Maison Margiela
il ritorno delle Puma Mostro
Senza perderci in altre chiacchiere, partiamo!
E Supreme x Maison Margiela fosse soltanto opportunismo?
Quando, negli scorsi giorni, sono cominciati a circolare i primi rumor su una possibile collabo fra Supreme e Maison Margiela, la reazione di quasi tutti è stata:
“Che, cazzo, sta, succedendo?”
Passati i primi cinque minuti di pure shock, sono andato a leggermi i commenti sotto ai post dei principali portali di streetwear, e la reazione delle persone, nella maggior parte dei casi, è stata molto negativa. Cosa che mi ha stupito moltissimo, soprattutto perché le critiche non erano tanto rivolte all’estetica stravagante e decostruttivista di Maison Margiela, quanto più all’opportunismo di Supreme, che sembra essere “salita sul carro” proprio in uno dei momenti di massimo successo della maison belga.
I punti in comune fra le due realtà, dopotutto, sono veramente pochi: se Martin Margiela, fondatore della maison, è sempre stato un designer attentissimo al suo anonimato e alla valorizzazione del capo in sé — tanto da coprire i volti dei suoi modelli e realizzare etichette interamente bianche per i suoi capi — Supreme ha sempre fatto del suo logo la sua principale forza. Pensiamo alle box logo, le iconiche tee di Supreme, che si caratterizzano per la presenza di un rettangolo sul petto con sopra stampato nome del brand. Null’altro, né a livello di materiali né a livello di ricerca.
Eppure, questo ha sempre funzionato, rendendo l’icona newyorkese uno dei marchi più riconoscibili a livello internazionale, oltre ad essere, ovviamente, uno dei più copiati. Questa forza ha portato, nel corso degli anni, molte maison a voler collaborare con Supreme, in modo da espandere il proprio bacino di consumatori: Burberry, Jean-Paul Gaultier e Louis Vuitton, quindi, hanno realizzato alcune collabo entrate nella storia. A livello estetico, si è trattato di operazioni molto riuscite, perché Supreme è riuscita a “mescolare” il suo logo all’estetica delle maison, creando dei prodotti che sicuramente non hanno brillato per innovazione e ricercatezza, ma che comunque parlavano la “lingua” di entrambi i brand.
Con Margiela, questo potrebbe rivelarsi molto più complesso: la casa di moda belga, infatti, non ha mai puntato molto sul branding in sé, quanto più sul valore estetico, ambientale, culturale e sociale dei suoi capi. Ad esempio, Martin Margiela è stato uno dei più grandi precursori dell’upcycling, tema di cui, tra le altre cose, abbiamo anche parlato sul nostro sito (con uno dei nostri partner preferiti, SEDDYS❤️): allo stesso modo, Martin non ha mai voluto comparire davanti a riflettori, preferendo che l’attenzione delle persone si concentrasse sulla bellezza intrinseca dei suoi capi, piuttosto che su chi li aveva creati. Insomma, se per Margiela han sempre parlato i materiali, la manifattura, l’art for art's sake, Supreme ha quasi sempre messo in primo piano il suo logo.
Incredibilmente e inaspettatamente quindi, il mondo dello streetwear non ha preso bene l’ennesima incursione dell’icona newyorkese nel mondo dell’alta moda: se in passato le collabo con Burberry, con Jean-Paul Gaultier e con Louis Vuitton hanno permesso a Supreme di affermarsi come uno dei marchi più riconoscibili a livello globale, con Maison Margiela rischia di arrivare un flop, almeno a livello d’immagine. Dopotutto, a livello economico le vendite di sicuro non stenteranno, anche perché una bogo — abbreviazione di box logo — realizzata insieme a Maison Margiela avrà sempre il suo fascino, soprattutto per coloro che ignorano la rivoluzionaria storia di Martin e la sua visione della moda.
Le Puma Mostro sono la Big Thing del 2024
A 25 anni dalla loro primissima uscita, le Puma Mostro sono una scarpa ancora attuale, a suo modo rivoluzionaria e capace di raccontarci storie di cui non sapevamo di aver bisogno (o di cui, forse, non abbiamo proprio bisogno).
Quando, nel lontano 1999, Puma decise di lanciare le Mostro, il mondo delle sneakers tremò: non si era mai visto, dopotutto, un modello che unisse una spike runner — le scarpa da atletica con i tacchetti nella parte anteriore — ad una scarpa da surf. Questo mix molto esotico, però, funzionava, e funzionava tanto bene da attirare sulle Mostro l’attenzione di star come Madonna e Bjork e da farle finire in un film con Scarlett Johansson (The Island, per chi volesse andare a vederlo). Dopo il 1999, però, non se ne fece più niente, e Puma tornò alla normalità, trasformatasi poi in mediocrità.
Negli ultimi tre, quattro anni, il mondo delle scarpe vintage, elaboratissime e ricche di dettagli, con accostamenti assurdi di materiali diversissimi, è però tornato prepotentemente di moda. Per questo, personaggi come Skepta e A$AP Rocky hanno recentemente flexato le loro Mostro, mentre Puma ha deciso di riportare in vita questo iconico modello nel 2024, per celebrare il suo 25esimo anniversario nel migliore dei modi. E nulla, su moltissimi siti le Mostro sono andate sold out, a dimostrazione che lo sneakergame aspettava da tanto tempo questo modello.
Saranno passati anche 25 anni, infatti, ma una scarpa come la Mostro non si è più vista: aggressiva ma sinuosa, con quel formstrip — il nome del baffo caratteristico di Puma — argenteo che contribuisce a rendere l’intera silhouette molto più fluida. A fare da contraltare alle forme morbide dell’upper ci pensa un’outsole estremamente spigolosa, simil-waffle, che in molti punti “sale” sulla tomaia e crea una sorta di “gabbia” attorno al piede. Per quanto riguarda i lacci, invece? Non pervenuti, perché al loro posto Puma ha preferito mettere un bellissimo strap, che completa alla perfezione il look retrofuturistico delle Mostro.
Piaceranno a tutti? No. Sono le nuove Dunk? Assolutamente no.
E non è che non vada bene così.
Va benissimo.