Streetwear, ma spiegato bene - Episodio #20
una piccola e appassionata idea di Federico Zamboni
Due episodi in due settimane. Spettacolo, penserete.
No, tranquilli, non è il nuovo standard. Semplicemente, dato che fra il 18esimo e il 19esimo c’era stato uno stacco di settimane, cerco di recuperare con questo 20esimo episodio :)
Senza perderci, voliamo subito ai temi di oggi:
perché lo streetwear, la moda e tutto il mondo hanno bisogno di MSCHF e della sua arte
che direzione sta prendendo EyesOnMagazine, e quanto di qualità sono stati i contenuti realizzati con Francesco Rasola e Matteo Bellentani
l’Air Technology di Nike sarà in grado di innovarsi e rimane all’avanguardia?
Partiamo!
Sì, lo streetwear ha bisogno di MSCHF
Nelle scorse settimane, MSCHF se n’è uscito con un’altra delle sue trovate: dopo aver reinterpretato la Old Skool di Vans e aver reso sia santa sia demoniaca l’Air Max 97 di Nike, il collettivo artistico newyorkese ha deciso di droppare la “2X4”, una versione estrema — ed estremamente bella — del 6-inch Boot di Timberland.
Come sempre, MSCHF ha deciso di fare le cose per bene, prendendo la silhouette di questo modello iconico e remixandola in chiave rugged. Ne è uscita una scarpa contraddistinta da un look stranissimo, realizzata interamente in gomma, che se da un lato omaggia l’iconicità di questo modello tanto amato a New York, dall’altro lo prende in giro, rendendolo grottesco e sostanzialmente immetibile (non troppo però, come dimostrato dal sempre puntuale Rose Anvil). Basti pensare che sulla toebox non troviamo il classico nubuck di Timberland, ma una seconda outsole, costruita come se la suola vera e propria non finisse mai e attraversasse tutta la tomaia.
Una chiave di lettura interessante è la seguente: posizionando l’outsole sulla toebox, MSCHF ha voluto catalizzare l’attenzione delle persone su una parte della scarpa, il fondo, che viene spesso sottovalutata o addirittura dimenticata. Ecco, attraverso questa rivisitazione, il collettivo artistico newyorkese ha voluto rendere evidente — e devo dire che ci è riuscito molto bene — questo componente fondamentale di ogni calzatura.
Non si tratta, ovviamente, del primo capolavoro di critica e innovazione realizzato da MSCHF. Già negli scorsi anni, la realtà statunitense aveva fatto parlare di sé per alcune opere decisamente particolari: la prima, ad esempio, fu un portatile Samsung infettato da 6 malware, soprannominato ironicamente “The Persistence of Chaos”. A far entrare nel mondo delle sneakers e dello streetwear MSCHF, però, fu un altro prodotto: la Jesus Shoe, una Air Max 97 autoesplicativa nel nome e nella funzione. Poi sono arrivate anche le Satan Shoes — che hanno portato Nike a fare causa a MSCHF, per la realizzazione sin troppo riuscita — le Gobstomper, le Super Normal, le Big Red Boot, le BWD, le Yellow Boot e le Wavy Baby.
Proprio le Wavy Baby, fra tutte le sneakers che vi ho nominato, sono state quelle che hanno attirato l’attenzione, non proprio amichevole, della VF Corporation, il gruppo di cui fa parte Vans: e proprio le Old Skool, modello iconico del marchio di skatewear, sono state l’obiettivo della parodizzazione di MSCHF. Sostenendo che l’interpretazione del collettivo artistico potesse confondere i consumatori, VF decise di fargli causa, non riuscendo però a fermare la commercializzazione del modello. Eppure, nonostante questo, MSCHF ha deciso anche nel 2024 di andare contro questo enorme gruppo industriale, schierandosi apertamente a favore della libertà di satira e ribandendo la necessità di potersi esprimere liberamente per poter creare qualcosa di nuovo.
E l’importanza di MSCHF nel mondo dello streetwear è proprio questa: nessun’altra azienda, nessun’altra label, nessun altro designer sono mai riusciti ad ottenere la sua risonanza mediatica.
Non si tratta, tuttavia, di un mero “basta che se ne parli”, o di un “art for art’s sake”.
Il lavoro di questo gruppo di artisti è molto più concreto di quello che si potrebbe pensare ad una prima e disattenta occhiata. Ogni sneaker, le 2X4, le Wavy Baby e le Big Red Boot in particolare, è stata realizzata adottando tecniche produttive inedite, poco esplorate persino dai giganti della footwear industry. Questo, se consideriamo soprattutto la relativamente bassa disponibilità economica di MSCHF — che negli anni ha comunque potuto contare su una ricezione positiva da parte del pubblico e su vari round d’investimenti — rendono questo collettivo un bene da preservare, in modo da tenere viva la fiamma dell’innovazione. Una fiamma che, purtroppo, è spesso mancata nel mondo delle sneakers mainstream.
EyesOnMagazine è sinonimo di personalità, qualità, informazione e spirito critico
Ogni tanto è importante fermarsi, guardarsi indietro, e vedere tutti i passi in avanti — o in dietro — che si sono fatti. In questo caso, ho sentito la piccola ma impellente necessità di esaltare un progetto, EyesOnMagazine, che negli ultimi due anni ha cercato di fare informazione in modo completamente diverso, offrendo sempre la propria visione su ogni tematica, senza peli sulla lingua.
Negli ultimi tempi, questo lavoro ci ha portati a realizzare alcuni contenuti di qualità assoluta, fra cui l’intervista — che esce presto, promesso — a Matteo Bellentani, direttore creativo di Clarks, e il talk realizzato insieme a Francesco Rasola, designer e fondatore di smART Studio. Due progetti, questi che ho appena nominato, a cui ho lavorato principalmente io, Fede, e che mi hanno dato tanto.
Innanzitutto, conoscere persone di questo livello che lavorano da decenni nella moda mi ha permesso di espandere il mio piccolo bagaglio di conoscenze; poi, se da un lato Matteo mi ha trasmesso una visione capace di fondere creatività e manualità, dall’altro Francesco mi ha regalato alcune considerazioni più “filosofiche” che sicuramente avranno risvegliato qualcosa anche in voi. Entrambe queste esperienze, però, hanno avuto un denominatore comune: la passione viscerale per la moda, che noi di EyesOnMagazine abbiamo cercato di cogliere e far sbocciare.
Il 24 marzo, a Forte Marghera, si terrà un Kickit dove saremo presenti non solo con il nostro banchetto, ma anche per realizzare altri talk: uno è già stato annunciato, e ci vedrà parlare di sneakers e streetwear insieme al professor Mattia Momentè. Insomma, ci sarà da divertirsi anche a questo evento e, sorpresa sorpresa, non sarà mica l’ultimo. Let us cook :)
La tecnologia Air di Nike ha un futuro?
La domandona è retorica, e questo paragrafo cercherà di essere il più breve possibile.
Ovvio, la tecnologia Air ha un futuro, banalmente perché rappresenta una delle punte di diamante di Nike e del suo reparto R&D. Contestualmente, però, bisogna fare una riflessione un po’ più ampia per comprendere questa domanda. Partiamo da un dato di fatto: la tecnologia Air è stata inventata più di 40 anni fa, e da quel momento è stata usata — e abusata — dallo Swoosh su migliaia di modelli diversi. Alcuni l’hanno avuta come sistema d’ammortizzazione “nascosto”, altri, come l’Air Max 1, l’hanno messa in bella vista per dimostrare la sua funzionalità (o, quantomeno, per far credere alle persone che l’aria sotto ai piedi fosse un qualcosa di straordinario).
Nel tempo, però, la maggior parte dei produttori, Nike compresa, si è resa conto di un altro dato di fatto: le unità ad aria compressa sotto ai piedi saranno anche comode, ma mai quanto gel e schiume di ultima generazione. Il paradosso è che persino Nike, negli ultimi anni, ha proposto tante tecnologie nettamente superiori all’Air, come ZoomX e React. Se poi volessimo rimanere nel ramo dell’ammortizzazione air-based, Air Zoom, tecnologia sempre prodotta da Nike, è nettamente più performante rispetto a qualsiasi Air Unit mai prodotta.
Gli stessi consumatori non considerano particolarmente comode le scarpe con ammortizzazione Nike Air. Un esempio clamoroso è rappresenta dagli youtuber che si occupano di sneakers, che, pur essendo spesso sono biased nelle loro recensioni, si sono più volte detti delusi dai claims di Nike riguarda alla comodità dei suoi prodotti con tecnologia Air. Alcuni esempi? Le Vapormax, le Scoprion, le 270, le Air Max DN. E la lista potrebbe andare avanti per un bel po’.
Insomma, sembra quasi che Nike stia continuando ad investire in questa tecnologia “solo” perché rappresenta un punto di svolta nella storia delle sneakers. In questo modo, però, il rischio che sta correndo lo Swoosh è quello di perdere il suo ruolo di costante innovatore, sedendosi sostanzialmente sugli allori e riponendo la sua fiducia in un consumatore che, però, si sta lentamente rendendo conto che no, la tecnologia Air non è così comoda e non è così rivoluzionaria.
Lo sarà stata 40 anni fa, ma oggi non è più così. La footwear industry corre spedita, e non lo fa solo nei settori ad altissima innovazione — atletica, calcio et similia — ma anche nella fascia consumer, dove sempre più persone cercano prodotti versatili e comodi. In questo senso, la crescita di marchi come Merrell e Salomon non è stata un caso. Ma Nike, questo, non sembra volerlo capire, o quantomeno non sembra intenzionata a fare qualcosa per cambiare lo status quo.
Nell’attesa, probabilmente, che arrivi una Air Unit capace di farci diventare effettivamente leggeri come l’air.