Streetwear, ma spiegato bene - Episodio #21
un piccolo e appassionato progetto di Federico Zamboni
Non è sabato, ma almeno posso aiutarvi a passare la Pasqua dai parenti. Una bella colomba, un bel bicchiere di vino — anche Sprite e Fanta vanno bene — e la newsletter più street e più fatta bene d’Italia. What else?
Gli argomenti di oggi sono:
una breve opinione non richiesta sull’Air Max Day 2024
una discussione sulla (non) differenza tra ispirazione e plagio
l’ultima opera di Balenciaga
Partiamo, e buona Pasqua a tutti❤️
L’Air Max Day 2024 è stato un flop, ma…
…ma niente, in verità. L’Air Max Day 2024, pur avendo visto le release delle AM1 ‘86 “Royal Volt” e delle Dn, è stato un sonoro flop.
Insomma, la giornata dedicata ad una delle tecnologie più rivoluzionarie della storia dello streetwear è stata perfettamente in linea con quanto visto nelle ultime tre edizioni: release poco attese, disorganizzazione generalizzata e, soprattutto, poca attenzione alla comunicazione di un prodotto come le Royal Volt. L’aspetto che più è mancato, e che continua a mancare da troppo tempo, è però un altro: l’innovazione.
Perché no, che Nike ce la racconti in un modo o nell’altro, le Dn non sono un prodotto rivoluzionario, non sono un prodotto innovativo e sicuramente non sono sono prodotto che resterà negli annali dello sneakergame. Come direbbero gli americani, l’Air Max Dn è una scarpa piena di gimmick, ovvero di tante caratteristiche già viste che sono stati ripubblicizzate da Nike per l’occasione. Esempio? La tecnologia Dynamic Air, che non è altro che una semplicissima unità Air leggermente più strutturata. E, al contrario di altre Air Unit che abbiamo visto su modelli come le 270, quella della Dn è pure abbastanza moscia.
L’abbiamo detto, ridetto e stradetto, ma i motori propulsivi che hanno contribuito a rendere Nike grande, ovvero la pura innovazione e la capacità di mettere in discussione lo status quo, non sembrano appartenere all’era Donahoe. Non è un caso, quindi, che buona parte degli analisti abbiano segnalato consistenti problemi di inventario e turnover da parte dello Swoosh, che, cercando di ritrovare lo spirito di un tempo, ha addirittura deciso di diminuire la produzione di Air Force 1. Perché è innegabile, il consumatore medio vuole l’AF1, la Dunk oppure la Jordan, ma continuando ad alimentare il mercato questo è andato a saturarsi. Per questo, seguendo la filosofia di Steve Jobs, l’obiettivo di Nike dovrebbe essere quello di risvegliare nei consumatori un bisogno latente, non espresso fino al momento in cui questo viene presentato come fondamentale.
Una strategia che, inevitabilmente, passerà per l’introduzione di nuove tecnologie, e che quindi potrebbe vedere l’Air Technology scivolare nel “dimenticatoio”. Sia chiaro: l’Air non verrà mai dimenticato e anzi rappresenterà per sempre un punto fondamentale nella storia di Nike. Proprio per questo, e per tenere viva la fiamma che anima i cuori degli appassionati di questa tecnologia, Nike dovrebbe puntare con decisione su questa giornata. Al contrario, sembra che questa rappresenti un peso, un qualcosa che è stato deciso da un marketing team — e da uno spirito — che non fa più parte dello Swosh. E, forse, questo flop è solo l’ennesima dimostrazione della generale svogliatezza che ha contraddistinto Nike negli ultimi anni. Ai posteri l’ardua sentenza.
Il (non) confine tra ispirazione e plagio
Premessa: questo non sarà un testo ripieno di retorica ma, incredibilmente, cercherò di basare le mie argomentazioni su due soli esempi. Ci riuscirò? Probabilmente no, ma grazie per la fiducia <3
Uno degli argomenti più spinosi del mondo della moda è sicuramente il plagio: vendere determinate idee e determinati concept come propri, infatti, è visto come il peggior modo per crearsi un nome all’interno della fashion industry, tanto che l’accusa di aver copiato qualcuno di famoso — o, banalmente, qualcuno che è venuto prima — è usata quasi esclusivamente in casi evidenti. La mia considerazione, però, non chiarisce un importante differenza: se il mondo del fast fashion e di marchi come Nike e adidas attribuisce al plagio buona parte degli aspetti negativi del mondo della moda, la cosa è un po’ diversa per l’haute couture e per tutti i designer astrattisti-ispirazionisti-qualcosaisti.
Per queste due ultime categorie, il plagio è diventato nel corso del tempo una forma d’arte, un modo per veicolare, attraverso l’estetica di qualcun altro, le proprie idee. Prendiamo il primo esempio: le Wavy Baby di MSCHF. Queste, prendendo la silhouette delle Old Skool e rendendola ondosa, rappresentano una critica del collettivo newyorkese alla VF Corporation e, in generale, a tutte quelle aziende che reputano intoccabili i loro modelli di punta. Non è un caso, quindi, che VF abbia deciso di fare poi causa a MSCHF, accusando il collettivo di plagio.
A questo esempio si collegherebbe anche il caso Bape, con, però, una sostanziale differenza. Le Bape Sta, infatti, non solo si ponevano su un price point completamente diverso rispetto all’AF1, ma erano anche il riflesso della volontà di Nigo di importare in Giappone la leggendaria silhouette nata nel 1982. Missione che, ad oggi, possiamo definire riuscita, per quanto Nike negli ultimi due anni abbia deciso di attaccare Bape e i suoi bootleg — perché alla fine di quello si parla — accusandoli di confondere il consumatore. Consumatore che, evidentemente, non capisce la differenza fra una scarpa da 100 e una da 300 euro. Va bene Nike.
Torniamo alla questione plagio e prendiamo il terzo esempio: le Dior B33. Apertamente ispirate alle Puma Suede, questo modello è riuscito negli ultimi tempi ad affermarsi come uno dei più apprezzati della maison francese, soprattutto per tutta la storia degli NFT che ci gira attorno. Eppure, in ogni caso, le accuse non sono di certo mancate: dopotutto, l’ispirazione — per non dire altro — delle B33 è tanto evidente da sembrare quasi grottesca. Pensate che alcune colourway riprendono addirittura il formstrip di Puma, come potete vedere nell’immagine qua sotto⬇️
Eppure, questo “plagio” non è stato considerato un plagio da Puma, tutt’altro. Il perché è presto detto: Thibo Denis, Head Of Men Footwear, non ha fatto altro che elevare la silhouette delle Suede, rendendola un vero e proprio pezzo di design e non soltanto una sneaker da portare tutti i giorni. Puma, senza fare alcunché, ha quindi visto omaggiare una delle sue silhouette più apprezzate. Un tacito accordo win-win, in altre parole.
Ricapitolando, abbiamo visto tre esempi che dimostrano il labile confine tra plagio e ispirazione:
il plagio creativo-satirico, rappresentato dalle Wavy Baby di MSCHF
l’ispirazione creativo-culturale, rappresentata dalle Bape Sta
l’ispirazione culturale, rappresentata dalle B33
Chiaramente ce ne sono molti altri, e soprattutto quelli che ho evidenziato si ramificano in ulteriori sottocategorie. Eppure, una conclusione interessante che si può trarre dai tre esempi che abbiamo visto è che spessissimo la distinzione tra plagio e ispirazione, semplicemente, non esiste. Solamente chi viene “plagiato” può decidere se il suo lavoro sia stato copiato in modo fraudolento o se, invece, sia stato preso solamente come fonte d’ispirazione: per quanto quindi coinvolga due attori, il plagio può essere considerato una questione unilaterale, che esiste solo se manifestata dalla parte lesa. Un po’ come dire che se mi copiano Dior o Louis Vuitton, allora sto facendo un buonissimo lavoro; se mi copiano Walmart e Shein, invece, meglio fargli causa. Sì, lo so, a questo si connette il terribile problema dei prezzi troppo bassi e dell’insostenibilità delle catene di fast fashion. Per questo mi aspetto una bella discussione su questo tema nei commenti <3
Balenciaga vive nel 3000
Paragrafo rapido, giusto per aggiornarvi su una cosa che mi ha fatto capire come Balenciaga non appartenga al nostro tempo.
Nelle scorse settimane, la maison francese ha fatto parlare di sé — che novità — per aver rilasciato due tee e una hoodie le cui grafiche sono state realizzate dall’intelligente artificiale. L’IA, in questo caso, si è ispirata ai loghi iconici di Balenciaga, andando a creare delle grafiche in cui la scritta Balenciaga non compare mai — i modelli generativi di immagini, come DALL-E, non riescono infatti a generare loghi o scritte precise — e che, lo si voglia o no, rappresentano l’ennesima dimostrazione della visione di Demna Gvasalia.
L’uso dell’intelligenza artificiale nel mondo della moda e, in generale, del design non è una novità. Il modo in cui l’ha usata Balenciaga, andando sostanzialmente a parodiare il suo logo, lo è invece: rendendosi irriconoscibile, quasi come se si trattasse il logo di una qualche tee comprata su Temu, Balenciaga ha voluto ancora una volta criticare la nostra società e la nostra quotidianità, in cui l’IA è prepotentemente entrata da un giorno all’altro. E sì, che Balenciaga ci piaccia oppure no, non si può negare che la maison parigina viva in un mondo tutto suo. Un mondo che Demna ha deciso di mostrarci nei suoi limiti, nelle sue storture e nella sua contraddittorietà.